Saturday, October 24, 2009

Folklore

Nulla mi fa sogghignare di più di alcune caratteristiche che, ogni martedì-giovedì-avoltesabato, ritrovo con con simpatia e con rinnovato rispetto nelle stanze del luogo-dove-si-segue-la-via.

Lo spogliatoio.
Immaginate uno spazio vitale di 25 m² (o meno) occupato da 40 persone che hanno con sé borse la cui capienza è misurabile in ettolitri contenenti karategi cinta guantoni paratibie paradenti scarpette fasce cavigliere, materiale da doccia (vedi sotto) e da asciugo post bellico. Il risultato è il tipico effetto farfalla (teoria del caos): un battito di ciglia di Mattia giù in fondo provoca una leva con proiezione a me - povero bianco inesperto - che sono dall'altra parte. Molto di questo materiale da combattimento viene poi perso o abbandonato da crudeli padroni, e non di rado è possibile vedere qualche fascia Leone del 1976 scappare via veloce per evitare la tortura del cesto degli orrori (vedi sotto).

Le docce.
Chiamarle docce è - secondo me - improprio. Trattasi di dispositivi di erogazione casuale di acqua, pensati, disegnati, installati e resi operativi attraverso una rigida logica booleana. La doccia eroga, o non eroga. Eroga acqua in ebollizione, o acqua proveniente da Capo Nord, e spesso combinazioni veloci tra le due. Ho visto più di una volta persone Shinseikai, e quindi abituate a superare costantemente i propri limiti fisici e mentali, avvicinarsi timorose e riverenti prima di entrare nelle cabine della sorpresa (definizione più appropriata, non sai mai cosa può capitarti).

Il pavimento dello spogliatoio.
Visto il comportamento delle cabine della sorpresa, provate ad immaginare le condizioni del pavimento dello spogliatoio. Sono presenti, in pratica, tutte le sedimentazioni e tipologie di terreno esistenti al mondo, dal desertico al limaccioso, dal pluviale al montano.
Abbiamo ricevuto diverse richieste da parte di geologi per conto di università prestigiose (Oxford, Frascati) al fine di analizzare e studiare i vari compound nel corso del tempo, ma per il bene del Dojo e dell'attività Shinseikai sono passate tutte in second'ordine.
Ogni oggetto che cade in preda al rigore gravitazionale trasforma la faccia del proprietario dall'inaspettato all'orrorifico, il tutto in un istante. Una volta toccato il pavimento, non c'è molta scelta: disinfezione nucleare o cesto degli orrori.

Il cesto degli orrori.
E' lì. Sempre presente. Sempre pieno. Ti guarda dal basso verso l'alto con aria di sfida e di (vera e propria) intoccabilità. Qualcuno mi ha sussurrato, prima dell'inizio delle lezioni, che tra i vari strati di reperti pare ci siano magliette ancora sudate di George Foreman, le fasce di Primo Carnera (due lenzuoli, in pratica) e un sospensorio mummificato di Achille, l'eroe dell'antichità omerica. Un compagno di botte mi ha anche giurato di vederlo muoversi, a tempo, mentre il Sensei scandisce gli ordini e li enumera con ICHI - NI - SAN - SHI - GO - ROKU - SHICHI - HACHI - KU - JU!!

La luce del parcheggio.
Se esiste un algoritmo che ne regola l'accensione e lo spegnimento, vi prego di farmelo sapere, lo potremmo vendere a Google e con gli interessi comprare delle torce autoalimentate.

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Martedì, il Dojo, mi mancherà.